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Psicologia dell’acquisto: questione di stile

 26 gennaio 2016
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 Categoria: Curiosita'
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 Scritto da: admin

L’attrazione fatale esercitata da certe vetrine è il risultato della ricerca di equilibri perfetti. L'allestimento, per esempio, non deve soffocare il prodotto e distogliere l'attenzione del compratore. E soprattutto non deve creare note stridenti. Un'oreficeria può «osare» la frutta in vetrina, ma a patto che si tratti di melograni, che sono i frutti magici delle favole, associati alla ricchezza, alla fortuna o alla bellezza femminile. L'effetto sarebbe invece grottesco se tra collane e anelli comparissero mele renette e banane. Una buona vetrina ci permette di capire che cosa vende un negozio anche togliendo la merce esposta.


Tutto questo non significa che il prodotto passa in secondo piano, ma solo che entra a far parte di un sistema più complesso. Quando compriarno un oggetto, dal detersivo per i piatti all'automobile, in realtà compriamo anche desideri, valori, comunicazione. A influire sulla nostra decisione c'è la marca, ma anche elementi come la confezione, le forme, i colori. Per esempio, nel corso di una ricerca di mercato per rifare il packaging di una bottiglia di gin, gli esperti si sono accorti che i bevitori abituali di questo liquore non sono in grado di distinguere tra una marca e l'altra per il gusto (anche perché il gin di solito non si beve secco ma nei cocktail). L'acquisto è dunque determinato dall'aspetto della bottiglia o dal fatto che una determimata marca venga distribuita solo da negozi di alto livello e suggerisca quindi un'immagine più raffinata.


Ricerche psicologiche hanno dimostrato che le decisioni finali di acquisto sono determinate solo in parte dai processi logici e dalle valutazioni razionali. Contano infatti molto di più (70 per cento circa) gli automatisini, le associazioni analogiche, le emozioni. Il lavoro degli esperti di packaging è reso più complesso dal fatto che non esiste più il compratore tipo: forme e colori che attirano alcuni possono avere l'effetto opposto su altri. Le automobili pensate per le donne di solito assomigliano a giocattoli, con una linea rotondeggiante e un’aria pacifica per suggerire un’idea di sicurezza. Le vetture sportive, maschili, vengono associate a un'immagine di potenza e devono quindi avere forme più aggressive.


Anche i colori influenzano le nostre scelte, perché agiscono sull'immaginario ed evocano sensazioni precise. Per motivi abbastanza intuibili, poche donne comprerebbero una crema per il viso con un contenitore marrone. Il rosso, invece, che accelera il polso, fa salire la pressione arteriosa e aumenta la frequenza respiratoria, va benissimo per un profumo che promette di trasformare in seduttori irresistibili, ma non per una scatola di tranquillanti.


Mentre gli industriali dello zucchero sanno benissimo che per il loro prodotto un pacchetto blu è meglio di uno verde. Il motivo? La sensazione fisiologica associata al verde è un «effetto astringente», mentre quella del blu è la «dolcezza». A un livello simbolico più profondo, quest'ultimo colore rappresenta anche la lealtà.


Naturalmente, queste leggi non possono essere applicate in modo rigido, ma vanno adattate alla situazione. Sempre il verde suggerisce freschezza se si parla di caramelle, ma su una scatola di fette biscottate potrebbe ricordare la muffa. A meno che non si tratti di prodotti «light»: in questo caso il colore richiama il segnale di «avanti» di un semaforo e invita a mangiare senza sensi di colpa. In campo alimentare, le tonalità preferite dagli adulti sono quelle realistiche e ispirate alla natura del prodotto.


I giovani, consumatori di dolci e snack, sono attirati invece da tinte più artificiali e vistose. Il fucsia, per esempio, il metallizzato, il nero e il viola (il colore statisticamente preferito dagli adolescenti). Certo, forme e colori giusti attirano l'attenzione, ma da soli non possono determinare il successo di un prodotto. Che resta legato alla sua capacità di soddisfare un bisogno e alla coerenza tra l'oggetto, il modo di presentarlo e la campagna pubblicitaria.


In questo senso, hanno fatto scuola le ormai storiche campagne della Barilla. La pasta, per esempio, che doveva essere legata a un'idea di «casa» da riempire di un contenuto: poteva essere l'appartamento di città abitato da mamma, papà e bambina con l'hobby di raccogliere gattini per strada; oppure una villa piena di invitati vestiti da sera.


Ancora, la linea del Mulino Bianco che, negli anni della crisi petrolifera e delle stragi terroristiche, proponeva uno stile di vita sereno, ispirato ai valori sani e tradizionali della famiglia italiana, dei tempi in cui «i mulini erano bianchi».

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